domenica 29 novembre 2009

jedna nedelja u Bresci




Poseta izlozbi Matteo Pedrali (1913-1980)

Matteo Pedrali si è sempre dimostrato un artista capace da un lato di mantenere un’identità fortemente bresciana, e dall’altro di confrontarsi proficuamente con quanto di meglio veniva prodotto altrove, in Italia e in Europa.


Pedrali nasce a Palazzolo il 24 settembre 1913 da una famiglia agiata, dedita al commercio di cavalli. Inizia molto presto a dimostrare interesse e talento per l’arte, e dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte “Fantoni” di Bergamo si diploma all’Accademia Carrara, dove ha tra i suoi maestri il valido pittore pavese Contardo Barbieri. Dal 1932 inizia ad esporre partecipando a mostre collettive provinciali e regionali, distinguendosi per l’originalità e per l’acuta sensibilità, che lo conduce a riflettere precocemente sull’opera di Carrà, Modigliani, Morandi, Matisse, Picasso e Braque.
Tra il 1933 ed il 1935 realizza un importante ciclo di affreschi – molto apprezzati tra gli altri anche da Mario Sironi – nella chiesa di San Giovanni Evangelista di Palazzolo: si tratta di un omaggio alla gente del paese, poiché i personaggi ritratti sono giovani e anziani palazzolesi.
Nel 1936 vince un concorso per ex-allievi dell’Accademia Carrara, la cui borsa di studio gli consente di soggiornare a Roma per diversi mesi. Qui Pedrali incontra e frequenta alcuni dei più importanti artisti della Scuola Romana, tra cui Mario Mafai e Corrado Cagli, nonché Fausto Pirandello. Un anno più tardi si trasferisce a Venezia, dove conosce Emilio Vedova, Giuseppe Santomaso, Armando Pizzinato, il gallerista e mercante Carlo Cardazzo e i pittori della cosiddetta scuola buranella, tra cui Pio Semeghini e la bresciana Rina Soldo.
Si tratta di incontri importanti, che gli consentono di approfondire la conoscenza delle principali correnti dell’arte italiana.
Tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta si intensifica la sua partecipazione alle principali manifestazioni artistiche nazionali: partecipa tra l’altro a tre edizioni del celebre Premio Bergamo e alla Quadriennale romana del 1943, ed espone in mostre personali e collettive.
Nel 1945 pubblica anche un libro di poesie, intitolato Nozze d’argento di Matì: con questo diminutivo, assegnatogli dai suoi compaesani, firmerà anche numerosi dipinti.
Nel dopoguerra – la cosiddetta “stagione dei premi” – partecipa ad alcuni tra i più importanti concorsi nazionali, tra cui il premio Iseo del 1947, e a mostre di arte sacra, nonché alle Biennali veneziane del 1948 e del 1950. Tra il 1947 ed il 1950 dipinge molti paesaggi sul lago d’Iseo, che con gli anni diviene il luogo prediletto della sua pittura.
Nel 1955 sposa Gina Cortinovis da cui ha una figlia, Chiara. Insegna alle Scuole Medie di Palazzolo, presso le quali si guadagnerà la stima e l’apprezzamento dei colleghi e degli studenti: subito dopo la sua scomparsa, insegnanti ed alunni della scuola gli dedicheranno una piccola, commossa pubblicazione.
Nel 1959 partecipa nuovamente alla Quadriennale di Roma, e negli anni Sessanta espone più volte in rassegne personali (da segnalare la retrospettiva iseana del 1965) e collettive.
Nel 1969 il Comune di Palazzolo lo premia annoverandolo tra i cittadini che si sono particolarmente distinti.
Del 1971 è una nuova personale bresciana a cura di Elvira Cassa Salvi, mentre nel 1974 Mario De Micheli pubblica la prima importante monografia sulla sua opera.
La sua ultima personale si tiene a Palazzolo nell’ottobre del 1979. Pochi mesi dopo, il 1° marzo del 1980, Matteo Pedrali scompare. Ad andarsene, scrive Elvira Cassa Salvi, è un “dolce, caro, mite poeta del pennello”.


La mostra

Gli esordi. Gli anni Trenta

Gli esordi di Pedrali, negli anni Trenta, sono segnati da un’eccezionale molteplicità di stimoli, che nel breve giro di un decennio gli consentono di entrare in contatto con quanto di meglio si andava producendo in Italia.
Formatosi sul modello novecentista del suo maestro Barbieri, già prima di concludere gli studi Pedrali comincia ad interessarsi all’opera di Carrà, Modigliani, Morandi, Matisse, De Chirico, Picasso e Braque, forte anche delle suggestioni che a Brescia provenivano dalla collezione di Pietro Feroldi e dalla lucida attività critica di Carlo Belli. Contemporaneamente conosce il linguaggio del chiarismo lombardo di Del Bon e Lilloni, che Edoardo Persico – sulla scorta del Gusto dei primitivi di Lionello Venturi – aveva sollecitato a ricollegarsi alla tradizione postimpressionista europea di costruzione con il colore: «una pittura giocata su toni chiari, delicati, talora evanescenti […], in cui le forme sembrano sciogliersi estenuate dalla luce, in una tessitura di colori» (Lorenzi 2009), di cui Pedrali si ricorderà anche negli ultimi anni.
Intorno alla metà del decennio maturano inoltre altri contatti fondamentali. Nel 1936 la borsa di studio dell’Arciconfraternita dei Bergamaschi a Roma – che ottiene come premio per un concorso di ex-allievi dell’Accademia Carrara – gli consente di soggiornare nella capitale e di entrare in contatto non solo con artisti della Scuola Romana come Cagli e Mafai, ma anche con Gino Severini, che in quegli anni è tra i primi a riflettere sull’estetica neotomista di Maritain, e con Giuseppe Cesetti, valido pittore di cui è anche lontano parente. L’anno seguente è invece a Venezia, dove conosce i pittori della scuola buranella (Semeghini, Vellani Marchi, Rina Soldo) e il gallerista Carlo Cardazzo, futuro protagonista del collezionismo e del mercato dell’arte che lo ospita per diversi anni in un suo magazzino, e grazie al quale conosce e frequenta Vedova, Santomaso e Pizzinato, di cui ha modo di apprezzare la pittura nutrita di umori inquieti.


Le nuove sperimentazioni. Gli anni Quaranta e Cinquanta

Nel corso degli anni Quaranta e Cinquanta, Pedrali attraversa una nuova fase, in cui la sua pittura va poco a poco caricandosi di un’inedita tensione espressionista, compressa in precedenza entro una cifra stilistica mutuata dalla formazione novecentista e caratterizzata da forme austere e alte.
Non si tratta del resto di un fulmine a ciel sereno, poiché anzi le premesse del cambiamento si ritrovano già sul finire del decennio Trenta. Già nel 1939, infatti, Pedrali aveva partecipato alla prima edizione del Premio Bergamo, il concorso ideato dall’allora Ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai – probabilmente la più lucida voce del regime fascista in campo storico-artistico – come forma di opposizione al farinacciano Premio Cremona: mentre quest’ultimo cercava di imporre un’idea e una prassi dell’arte ridotta a banale e provinciale illustrazione propagandistica della vita del regime, il Premio Bergamo accettava invece volentieri anche l’arte italiana più tesa ed inquieta del momento, quella del gruppo di “Corrente” di cui facevano parte giovani artisti come Birolli, Guttuso, Migneco, Vedova e Sassu, nonché il bresciano Ernesto Treccani.
Anche se non è semplice stabilire con esattezza quando si possa far iniziare concretamente questa nuova fase, poiché troppe sono le lacune nella cronologia delle opere, è probabile che già all’inizio degli anni Quaranta – forse anche in non casuale coincidenza con il manifestarsi del dramma della guerra – Pedrali abbia ormai definitivamente abbandonato la sua precedente pittura novecentista per sposare la linea romantico-espressionista.
Ed è soprattutto nella visione del paesaggio, cui non a caso era stato dedicato anche il Premio Bergamo (la cui denominazione ufficiale era in effetti “Mostra nazionale del paesaggio italiano”), che si misura la nuova accensione cromatico-emotiva della pittura pedraliana: mentre anche le dimensioni dei dipinti si fanno più ridotte, «Pedrali tende piuttosto a dar voce all’emozione e alle tensioni psichiche, che non semplicemente a tradurre il profilo del paesaggio» (Corradini 2009).


L’ultimo Pedrali. Gli anni Sessanta e Settanta

La stagione espressionista di Pedrali si conclude alla fine degli anni Cinquanta, con le sue partecipazioni alla Biennale veneziana del 1958 e alla Quadriennale di Roma dell’anno successivo.
La bruciante rivolta etico-estetica dell’immediato secondo dopoguerra può ormai dirsi pressoché conclusa in tutta Italia, e lo stesso sistema dell’arte – con il mutare delle condizioni economiche del paese – viene sviluppandosi diversamente, mettendo in crisi il funzionamento di quella che è stata definita la “stagione dei premi”. Inoltre, con l’emergere delle cosiddette neoavanguardie (il neodadaismo ed il Nouveau Réalisme, la pop art, le ricerche optical e primi vagiti del nascente concettuale) l’orizzonte dell’arte si fa sempre più separato dal concreto fare pittorico e vira decisamente verso il progetto e l’idea, mortificando la «consistenza della manualità» e «i portati tecnico-procedurali che erano l’orgoglio della generazione nata nel primo quarto del secolo scorso» (Corradini 2009).
Dinnanzi alle formulazioni spesso provocatoriamente antiartistiche dell’arte di quegli anni Pedrali reagisce ribadendo la sua predilezione – tutta lombarda – per la realtà colta nella sua concretezza fattuale, per quanto sapientemente strutturata in una visione geometrizzante che modula lo spazio. Il dato reale, inoltre, si traduce e si ingentilisce in una pittura chiara e delicatamente velata, che fa la sua prima comparsa già nei primi anni Sessanta, quando il palazzolese «compone paesaggi che si raccolgono entro schemi morandiani, ma evaporano in luce e in tonalità opaline, in rosa di corallo sommerso» (Fezzi 1984).
Si è parlato, a tale proposito, di un «chiarismo» o «neochiarismo» di Pedrali, ma tali termini – evidentemente anacronistici – spiegano solo in parte questa sua particolarissima predilezione per le atmosfere diafane e le tinte opalescenti, che divengono la cifra stilistica ideale per tradurre la sua lirica riservatezza, lontana dagli eccessi e da ogni forma di protagonismo.

venerdì 27 novembre 2009

Jedan dan na jugu: TODI




Sreda, 25.11. podrzavajuci Veronikine ludosti...

lunedì 23 novembre 2009

giovedì 19 novembre 2009

Shish i knige


Omiljeni hobi: njuskati knjige i sedeti na njima

mercoledì 4 novembre 2009

domenica 1 novembre 2009

U potrazi za blagom cara Radovana

od naseg stalnog dopisnika s' one strane Jadrana: